Già dall'aspetto cupa ed opprimente: l'ex-sede del Ministero
della Sicurezza di Stato della DDR,
oggi trasformato in museo.
foto: Prof.Quatermass
"Che la gente non vada via..."
“Se dovete sparare, fate in modo che la persona in questione non vada via,
ma rimanga con noi”. Con queste terrificanti e mortifere parole, il ministro
per la sicurezza della la Repubblica Democratica Tedesca (DDR) Erich Mielke
nell’aprile 1989 si rivolse alle guardie di confine. Infatti, tra il 1961
e il novembre 1989, più di 850 persone sono state uccise nel tentativo di
attraversare il confine dalla Germania dell'est alla Germania dell'ovest e
molte migliaia (non si conoscono cifre precise) sono state ferite - o per
dirlo con il ministro Mielke, "sono rimaste nella DDR".
Come nasce il museo della "Stasi"?
La Stasi, acronimo di
Ministerium für Staatssicherheit (Ministero della
Sicurezza di Stato, la principale organizzazione di sicurezza e spionaggio della
ex-DDR) fu creata nel febbraio del 1950 come una sorta di enorme
tentacolo del già tristemente noto KGB, il servizio segreto dell'Unione
Sovietica.
La Berlino unita, nella sua consueta vocazione al
ricordo, ricostruisce questa fetta di storia tedesca adibendo a museo
proprio il vecchio palazzo che costituiva la sede della Stasi, il nucleo
vivo e pulsante delle sue attività. Fresco di ristrutturazione completata
nel 2011, lo Stasimuseum fu creato il 7 novembre 1990, quasi ad un anno
esatto dalla caduta del muro. Il suo principale obiettivo è quindi la
testimonianza, la volontà di conservare la memoria di quanto quest’organismo
complesso abbia generato, le sue attività, le sopraffazioni, gli abusi. Ciò
fu possibile anche grazie ad un gruppo di dimostranti che il 15 gennaio 1990
si introdusse nel palazzo con lo scopo di preservare il mastodontico
patrimonio di documentazione meticolosamente archiviato e registrato dalla
Stasi nei suoi quarant’anni di lavoro. Già a quella data infatti, molti
funzionari del ministero si erano alacremente attivati per poter distruggere
testimonianze e cancellare prove dei loro crimini. Il 31 marzo dello stesso
anno l’incubo finì e tutto cessò.
Una foto dell'occupazione della sede del Ministero della
Sicurezza di Stato, il 15 gennaio 1990.
foto:
Thomas
Uhlemann / Bundesarchiv
Da allora questi dimostranti si sono
riuniti in un’associazione, la "Antistalinistische Aktion Berlin
Normannenstrasse" che si fa promotrice, a tutti gli effetti, della ricerca
sulla Stasi trasformando come già accennato l’edificio centrale della sede,
uno dei tanti che coprivano una vasta area di circa 20 ettari, in un
memoriale.
Il primo piano del museo: sorveglianza, osservazione, ideologia
Attualmente il museo è costituito da tre piani. Già al primo è facile intuire cosa
significasse vivere in un regime costantemente osservati, controllati e
schedati. Le stanze mostrano alcune fra le attrezzature e le tecnologie
utilizzate per spiare sospettati e oppositori.
Sorveglianza e osservazione costituivano i cardini di questo ministero.
Cavi, proiettori a infrarossi, microfoni invisibili, microspie,
ricetrasmittenti, barattoli in vetro con brandelli di tessuto per
l’identificazione olfattiva dei sospetti e macchine fotografiche mascherate
da oggetti di uso quotidiano: ce n’è per tutti i gusti, molti dei quali da
fare invidia a 007.
Una serie di apparecchiature elettroniche utili per lo spionaggio.
foto:
Appaloosa
Tra le sale, i corridoi espongono slogan e manifesti targati anni Sessanta e
Settanta in cui la Stasi presenta la sua attività come prevenzione di
sabotaggi, atti spionistici e non solo. Emergono i rapporti che lo stato
della DDR aveva con gli altri paesi del blocco orientale e le sue politiche
di cooperazione. Largo spazio è dato alla formazione ideologica,
indispensabile per creare una personalità, infondendo un’educazione politica
il cui risultato avrebbe dovuto portare ad un’incondizionata fedeltà verso
la classe operaia e il partito marxista-leninista. Tutti i soggetti erano
avvolti da questa gigantesca macchina di standardificazione: dai bambini e
ragazzi indottrinati da un sistema scolastico-educativo nonché da
associazioni giovanili fino ai lavoratori ai quali veniva instillata
l’ideologia a sostegno del sistema con qualsiasi mezzo fino a permearne
l’intera esistenza. In questo piano c’è l’immagine che la Stasi voleva dare
di sé.
Il secondo piano del museo: la struttura della Stasi
Al secondo piano alcuni arredi originali ripropongono la segreteria,
l’ufficio e lo spazio privato dell’ultimo ministro Erich Mielke. Attorno vi
sono una mensa, altri uffici dei più stretti collaboratori e una sala
conferenze.
L'ufficio il Erich Mielke, Ministro della Sicurezza di Stato. Le
sue stanze ssono conservate così com'erano nel 1990, quando la sede della Stasi è stata
chiusa.
foto:
PnP
Questa parte della mostra informa sulla struttura organizzativa della Stasi.
Tutti gli aspetti della vita nella Repubblica Democratica Tedesca erano
sotto stretto controllo di ben 100.000 impiegati del Ministero della
sicurezza di Stato tra dipendenti ed informatori (di cui circa 9000 nella
sola Berlino). Immagini e cartelloni spiegano che il personale lavorava in
gruppi (Arbeitsgruppen) ognuno dei quali con competenze e mansioni precise,
con sezioni (Hauptabteilungen) e sottosezioni (Abteilungen); esisteva
infatti l’Abteilung dei contatti internazionali, quella del
controspionaggio, degli interrogatori, della sicurezza interna, quella del
controllo personale della Volkspolizei etc.
Il terzo piano del museo: la Stasi e l'opposizione
Al terzo e ultimo piano s’illustra la storia dei movimenti e tentativi di
opposizione al regime. Chiariti gli orientamenti qui si ripercorrono le
tappe fondamentali delle contestazioni nella DDR.
Le persecuzioni e le resistenze sono tutte meticolosamente schedate e
catalogate. Archivi che raccontano tante storie di uomini e donne uccisi,
torturati o incarcerati perché sospettati di essere contrari alla rigorosa
ideologia cui dovevano conformarsi.
Benché lo Stasimuseum non sia una delle attrazioni più note ai turisti in
visita a Berlino, è indubbiamente una struttura di particolare interesse e
rilievo culturale; una mostra e un centro di ricerca che merita senz’altro
una visita, se meglio si vogliono comprendere alcuni aspetti della vita
reale di una parte di Germania dal secondo dopoguerra sino a pochi anni fa.
Uno degli archivi che si trovavano in tante città della DDR (in
questa foto quello di Erfurt),
in cui furono raccolte, con maniacale
acribia, tutti i rapporti dei collaboratori della Stasi
sulle attività sospette di essere sovversive.
foto:
Heinz Hirndorf / Bundesarchiv