
Caspar David Friedrich: "Frau vor untergehender Sonne"
(Signora davanti al sole che tramonta) - 1818 - Museum Folkwang a
Essen.
Caspar David Friedrich, il pittore
romantico tedesco per eccellenza, dipinse nel 1818 una figura di
donna, una filiforme signora delineata di spalle con le braccia
spalancate verso il basso che guarda il sole tramontare immersa in
una natura tiepida e dolce. È un quadro dalla forte tensione
emotiva, pur non essendo eccessivamente “romantico”, ma allo stesso
tempo efficace. Se la signora del quadro potesse parlare forse si
presenterebbe come la marchesa di O..., l’eroina assoluta di Heinrich von Kleist, imprigionata nel suo elegante cappotto rosso in
Stile Impero dalla vita alta e dallo stretto colletto, consolata
dalla forza del sole che declina sotto l'orizzonte, attonita di
fronte al potente spettacolo della natura che le si anima davanti
agli occhi. Non possiamo guardarla in volto poiché appare spalle, ma
potrebbe sorridere ed essere in qualche modo felice per l’esito
della sua rocambolesca avventura esprimendo il suo vagheggiato
sollievo attraverso le braccia spalancate.
Che il racconto
“La marchesa di O...” scritto da Heinrich von Kleist nel 1808 sia un
dramma lo comprendiamo dal ritmo narrativo convulso e impaziente che
conduce la vicenda dal suo curioso inizio alla sua prevedibile fine,
e forse per questo è un’opera lirica mancata. La marchesa Giulietta
von O... è vittima di un’avventura al limite del credibile, di “un
fatto inaudito”, secondo Goethe, ma soprattutto di un destino
paradossale poiché era credenza ricorrente in Kleist che l’essere
umano fosse perseguitato da un destino travolgente e incapace di
guardarsi intorno. Nel caso di Giulietta, il destino è in principio
maligno e alla fine in qualche modo redentore.
La storia di Giulietta è concitata, afflitta da uno strano affanno
che sembra non darle tregua, mettendo a dura prova i suoi nervi. La
novella si apre con l’inserzione su un giornale di M., città
dell’Italia settentrionale, con la quale la marchesa di O... informa
il mondo di essere incinta a sua insaputa e chiede al padre del
bambino, chiunque egli sia, di sposarla. All’istante comprendiamo la
bizzarria della vicenda. Quindi la narrazione torna indietro ai
fatti precedenti l’annuncio e scopriamo così che il conte F., un
ufficiale russo, aveva salvato Giulietta dallo stupro da parte di
due soldati napoleonici ma, approfittando della perdita dei sensi
della poveretta, le aveva usato violenza sessuale. In seguito, il
conte le chiederà di sposarlo perché oppresso dai sensi di colpa e
già mosso da un sentimento forte, ma lei lo respinge. Tuttavia,
Giulietta si ritrova presto incinta e, da quel momento, il suo mondo
va in frantumi; esiliata dai genitori, beffeggiata dalla società, ma
soprattutto stordita dalla sua vicenda personale alla quale non
riesce a dare una spiegazione valida e attendibile, arrivando
perfino a chiedere alla levatrice “se esistesse una possibilità di
gravidanza inconsapevole”. Poco dopo l’inserzione sul giornale, il
conte appare di nuovo, dichiarandosi colpevole dell’infamia e
disposto a sposare Giulietta la quale accetta per salvare la
reputazione della sua famiglia e dare un nome al suo bambino, pur
chiedendogli di congedarsi subito dopo la cerimonia perché sempre
più sconvolta dalle circostanze. Alla fine, Giulietta cede e accetta
la presenza del conte che le dimostra una tenace dedizione.
Giulietta incarna alla perfezione l’ideale di eterno femminino, tema
sempreverde nell’immaginario collettivo nonché nelle esperienze
spirituali e sentimentali degli artisti di ogni epoca e movimento.
Giulietta è la purezza, l’innocenza, ma anche la determinazione e
l’audacia e per questo esercita sull’animo del conte un fascino
prodigioso. Giulietta è artefice di un gesto imprudente,
l’inserzione sul giornale, che le riserva lo “scherno del mondo” e
non esita a togliere il disturbo non appena i genitori le comunicano
il loro grave disappunto. L’idea di rendere pubblica la sua
avventura le giunge dal desiderio di espiare una colpa che, pur non
essendo sua, non la fa sentire in pace con sé stessa. Di questo
sensibile moto interiore il conte non può che essere conquistato
perché si agita in una creatura incontaminata e gentile con la quale
desidera disperatamente riconciliarsi.
Un racconto di questa sovrumana forza emotiva non poteva che
giungerci dalla penna di uno scrittore romantico, Heinrich von
Kleist, che ha saputo strappare l’anima alla semplice teoria
postulata di un movimento artistico-letterario e quindi
impossessarsi delle sensazioni e delle verità fondamentali tipiche
del Romanticismo, come la morte, come gli sconvolgenti moti del
cuore, dell’anima e del corpo, come quelle emozioni in grado di
turbare intimamente un’esistenza. Già, l’esistenza. L’esistenza di
Kleist fu in realtà un rimescolio di esperienze sensoriali,
chiamiamole così, che lo portarono all’omicidio di sé stesso e della
donna che follemente lo aveva seguito. Kleist aveva scelto in primo
luogo il teatro come massimo genere di espressione forse per la sua
immediatezza e per la rappresentazione fisica dei suoi pensieri, dei
personaggi che affollavano la sua mente comunque compromessa e che
gli parlavano, tormentandolo.
Forse “La marchesa di O...” è la sua opera più famosa, ma largamente
diffusi sono “La brocca rotta” (1806), “Pentesilea” (1808), “Il
principe di Homburg” (1810), titoli fulminei che racchiudono
semplicemente in sé la loro natura. Ma una novella incredibile per
trama e per immaginazione come “La marchesa di O...” non sarebbe
potuto essere tradotta a parole se non grazie alla sfera
dell’emotività di un uomo lacerato da mille conflitti interiori. Di
questi conflitti sono energica testimonianza le “Lettere alla
fidanzata”, tenebroso e ambiguo ritratto di un assassino che aveva
sempre proclamato la sua tragedia.
Ma torniamo a Giulietta o la virtù. Eroina di una scampata
catastrofe, oltraggiata nella sua femminilità ma soprattutto mossa
da un inedito femminismo, Giulietta è una creatura semplice,
essenziale, vittima armata di un destino che attenta alla sua
sanità, una donna ingegnosa che, nel corso della sua avventura, non
perde mai la testa ma la usa per trovare una soluzione. L’annuncio o
la manna dal cielo, la provvidenziale idea che sì la mette in una
posizione scomoda, ma la rinfranca e la libera del peso di un
peccato che sente comunque suo pur non avendolo commesso. Impaurita
o forse semplicemente incredula, Giulietta rifiuta il conte, ma alla
fine ammette che egli “non le sarebbe apparso un diavolo se, alla
sua prima apparizione, non le fosse sembrato un angelo”.
Il destino non è mai così brutale come esso ci
costringe a pensare
perché da qualche parte c’è sempre la soluzione rincuorante di un
esito positivo.
testo: Sabrina Bottaro |