Il carteggio di uno scrittore è un cannocchiale che spia più o meno
nitidamente la sua vita e arriva in quella contrada del suo animo che
l’occhio del biografo difficilmente riesce ad avvistare. Nel caso
dell’epistolario sentimentale di Heinrich von Kleist, poeta e drammaturgo
tedesco, attivo a cavallo fra Sette e Ottocento e straordinariamente
romantico, ci si trova fra le mani l’universo fisico e sensoriale di un
artista straziato da una sensibilità che produce alienazione e non il
regolare affanno che il male di vivere può riservare a un poeta.
“
Lettere alla fidanzata” è un’opera che
colleziona le epistole inviate da Kleist alla sua fidanzata
Wilhelmine von Zenge dall’inizio del
1800 al maggio del
1802, alle quali sono state aggiunte le
missive alla sorellastra
Ulrike e alla
cugina
Marie del 1811 quando Kleist aveva
ormai rotto il fidanzamento e si accingeva a organizzare il
suicidio-omicidio di se stesso e della donna che aveva deciso di seguirlo.
Concentriamoci sulle lettere a Wilhelmine, un folto gruppo di singolari
componimenti che oggi possiamo definire “lettere pedagogiche”, ma che
all’epoca dovevano essere sembrate assurde alla giovane donna che le aveva
ricevute. Si tratta di complicati questionari formulati per addestrare la
fidanzata a diventare una moglie e una madre edificante e che sollecitavano
la sua risposta (da evidenziare, come sommo campione, le lettere della
primavera del 1800 da Francoforte sull’Oder e la seguente del 30 maggio 1800
dallo stesso luogo).
Wilhelmine von Zenge (intorno al 1800), la fidanzata di Kleist
Autore
sconosciuto
Cos’era il matrimonio per Kleist? Come nasceva il pensiero di un legame
indissolubile preceduto da un frustrante fidanzamento nella mente di un
geniale poeta? Evidentemente il matrimonio gli dava l’illusione di
costruirsi una vita normale, nella quale rifugiarsi quando il peso della sua
dirompente creatività gli sarebbe diventato insopportabile. In precedenza,
Kleist aveva elaborato “un piano di vita” che prevedeva, fra le varie cose,
l’addestramento della donna che avrebbe scelto come moglie oltre che la
continua ricerca del sapere; perciò amore e cultura erano due condizioni
reali e fondamentali per raggiungere la completa felicità, secondo Kleist.
Ma sappiamo come andò a finire. Dalle lettere si desumono facilmente le
aspirazioni utopistiche del visionario Kleist di costruire un’isola felice
e, quando Wilhelmine si rifiutò di seguirlo in questo progetto, egli la
congedò per sempre. In seguito Kleist conobbe una certa
Henriette Vogel, una donna sposata
e malata terminale che gli chiese di ucciderla e lui, per concretizzare
finalmente un gesto che avrebbe realizzato il suo ideale di vita, ovvero la
morte, accettò con soddisfazione. Condusse dunque Henriette sulle rive del
lago Wannsee vicino Potsdam e sparò un colpo di pistola alla donna e poi
uccise sé stesso.
Si è voluto segnalare l’epistolario dell’inquieto
Kleist per due motivi. Il primo è relativo alla sua biografia: si può
conoscere a fondo l’anima di un poeta soltanto attraverso le sue parole su
se stesso. Il secondo, ben più originale, risiede nella sensazione di
imminente catastrofe che impregna le lettere, dalla prima all’ultima,
coscienza di una tragedia annunciata che non ha niente a che vedere con la
vita reale di uno scrittore.
Articolo a cura di
Sabrina Bottaro