Introduzione all'opera di Friedrich Nietzsche
Articolo di Diego Fusaro.
Nietzsche rappresenta una spietata ed acuta negazione del passato:
Federico Nietzsche é una delle grandi figure del destino della storia dello 
spirito occidentale, un uomo che costringe alle estreme decisioni, un 
terribile punto interrogativo sul cammino lungo il quale era andato fino ad 
allora l’uomo europeo, cammino determinato dalla eredità dell’antichità e di 
duemila anni di cristianesimo. Nietzsche rappresenta la spietata ed 
acuta negazione del passato, il rifiuto di tutte le tradizioni, l’appello ad 
una svolta radicale. Nietzsche è il filosofo che mette in dubbio 
tutta la storia della filosofia occidentale, che cerca, dopo venticinque 
secoli di interpretazione metafisica dell’essere, un nuovo principio. Egli 
sovverte i valori occidentali ed è volto verso il futuro; ha un programma, 
un ideale, che è quello della "grande salute". 
All’inizio della sua riflessione, Nietzsche fu influenzato da 
Schopenhauer, per il quale la vita è crudele e cieca irrazionalità, 
è dolore e distruzione. Ma egli non si ferma al pessimismo di Schopenhauer: 
il sentimento tragico della vita è accettazione della vita stessa, è una 
esaltante adesione a tutti gli aspetti dell’esistenza, anche a quelli più 
terribili, poiché tutto fa parte dell’immensa marea della vita. Ne 
La nascita della tragedia (1872), Nietzsche vede nel mondo greco la 
stagione spiritualmente più alta e ricca dell’umanità. La civiltà greca era 
infatti nutrita da un vigoroso senso tragico, che è per Nietzsche 
l’autentico modo di rapportarsi alla vita: è accettazione di essa, coraggio 
davanti al Fato. L’uomo greco vedeva dappertutto l’aspetto orribile e 
assurdo dell’esistenza: ma egli seppe, nell’arte, trasfigurando l’orribile e 
l’assurdo in immagini ideali, rendere accettabile la vita. La grande 
tragedia greca è la forma suprema di arte, in quanto in essa si compongono 
gli impulsi vitali creativi (spirito dionisiaco), e la moderazione, 
l’equilibrio, la razionalità (spirito apollineo). Dalle 
Considerazioni inattuali (1873-74) in poi, Nietzsche inizia la sua 
critica ad ogni manifestazione culturale. La coscienza e il linguaggio si 
sono sviluppati dal bisogno di comunicare, comandare, difendersi. La scienza 
non è che il proseguimento della costruzione concettuale iniziata nel 
linguaggio; anch’essa è solo capace di ricondurre utilitaristicamente il 
mondo ad unità, creando l’immagine di un universo "regolare e rigido", e si 
limita perciò a descrivere la superficie delle cose. Essa vuole parlare il 
linguaggio dei fatti, ma il fatto è sempre stupido, non parla da sé ma ha 
bisogno di qualcuno che lo interpreti. Dunque la scienza non è mai pura, né 
oggettiva perché non esiste conoscenza senza presupposti, e che non sia uno 
strumento in mano a qualche forza. Si pratica la scienza, insomma, per 
desiderio di sicurezza, per fuggire fantasmi e paure, per sete di possesso e 
di dominio. In quanto poi alla storia (cfr. la seconda delle Considerazioni 
inattuali intitolata Sull’utilità e il danno della storia per la vita), essa 
serve all’uomo perché ha bisogno di avere dei maestri ideali. Ma se la 
storia dice di poter servire alla vita, non può però pretendere di essere 
una scienza oggettiva; d’altra parte, se vuole essere una scienza, essa 
diventa una sorta di statica conclusione e di inutile bilancio di vite. In 
più, la società moderna tende a trasformare le cose in eventi, che 
obbediscono ad una legge inesorabile ed estranea all’uomo. L’individuo non è 
altro che uno spettatore di un processo, la Storia, che lo supera e lo 
travolge.
Gli scritti successivi (Umano, troppo umano,1878-80;
Aurora, 1881; La gaia scienza,1882), 
aprono la fase "neoilluministica" di Nietzsche. Egli vuole deliberatamente 
mettere tutto in discussione: romanticismo, idealismo, positivismo, 
socialismo, evoluzionismo, cristianesimo, metafisiche e dogmatismi vari. 
Tutte le realtà che sono state presentate come nobili, vere, spirituali sono 
in realtà "umane, troppo umane". Sono costruzioni che esprimono solo gli 
istinti, appetiti, passioni e interessi più intimi dell’uomo. Nietzsche 
rifiuta così ogni tipo di metafisica e di religione, ed attacca lo stesso 
concetto di verità: secondo Nietzsche si sono chiamate verità gli errori 
utili, quelli che sono indispensabili all’uomo per poter vivere, giacché non 
sopporta il vivere senza un senso. La volontà di verità ha la sua radice 
proprio nel bisogno di stabilità, nella paura di instabilità. Ma non esiste 
nessuna verità se non all’interno di una interpretazione ed in riferimento 
ad una particolare prospettiva. In altre parole, non vi sono verità evidenti 
se non all’interno di categorie storicamente instaurate dagli uomini. 
Nietzsche e il cristianesimo:
Per quanto riguarda la religione, Nietzsche definisce il cristianesimo come 
"platonismo per il popolo", nel senso che afferma due realtà, di cui quella 
che non si vede è la più importante. Non solo: il cristianesimo oppone i 
valori del cielo a quelli della terra. Così esso è la religione dei deboli, 
dei vinti. L’ateismo appare quindi a Nietzsche come l’unica 
alternativa per liberare l’uomo. Esso è in lui qualcosa di ovvio: 
"Sono troppo curioso, troppo incredulo, troppo insolente per accontentarmi 
di una risposta così grossolana. Dio è una risposta grossolana, 
un’indelicatezza verso noi pensatori; anzi, addirittura, non è altro che un 
grossolano divieto contro di noi: non dovete pensare" (cfr. Ecce 
homo). Ne La gaia scienza Nietzsche sostiene che 
l’uomo ha ucciso Dio. "Dio è morto e noi l’abbiamo ucciso" (fr. 125). La 
civiltà occidentale ha ucciso Dio a poco a poco, ma, uccidendo, ha perso 
ogni punto di riferimento. Dicendo che "Dio è morto!" Nietzsche vuol 
indicare insomma che sono morti gli ideali ed i valori del mondo 
occidentale. Dio è stato ucciso perché in Lui era sintetizzato tutto ciò che 
era contro la vita. Però, ora che Dio è morto, l’uomo non sa più che cosa 
fare: è privo di valori ed è quindi solo, sperduto "nel gran mare 
dell’essere", senza punto d’appoggio. Non c’è che una alternativa: è l’uomo 
stesso che deve creare i valori. Ma quali? Prima di proporre una nuova 
tavola di valori, Nietzsche si dedica allo smantellamento della morale. In
Al di là del bene e del male (1886) e nella 
Genealogia della morale (1887), egli risale all’origine dei 
comportamenti morali. La morale per Nietzsche è uno strumento di dominio: 
essa consiste nella costituzione di valori presentati come universali e 
auto-evidenti, ma in realtà astratti e repressivi. In nome di tali valori, 
alcuni uomini (i "buoni") ne soggiogano altri (i forti). Vi sono infatti due 
tipi di morale: la morale dei sani, dei forti, che privilegia 
l’individualismo, la fierezza, l’amore per la vita; e vi è poi la morale 
degli schiavi, dei deboli, che è sociale e utilitaristica, che predica la 
democrazia e via dicendo. La morale degli schiavi è nata col cristianesimo 
ed è sorta per il risentimento verso la classe dei forti: infatti i mediocri 
non sanno elaborare nulla di proprio e di autonomo, la vera azione è loro 
negata, ed allora trovano il compenso in una vendetta immaginaria. Il 
disinteresse, l’abnegazione, il sacrificio di sé sono il frutto del 
risentimento dell’uomo debole verso la vita. I deboli, che non sanno vivere, 
hanno fatto diventare valore la negazione della vita; è questa la vendetta 
dei deboli contro i forti. La morale tende così ad indebolire l’uomo. 
L’essere umano desiderava soddisfare le proprie pulsioni, realizzarsi in 
questo mondo. La morale lo ha invece spinto a credere in una specie di 
anti-mondo, lo ha portato ad allontanarsi dalla sua natura originaria, che è 
terrestre. Ma la natura si è vendicata e gli istinti si sono rifugiati 
all’interno dell’uomo.
Il concetto di "Superuomo":
Nietzsche ha anticipato qui Freud: ha scoperto la 
resistenza degli istinti e delle pulsioni, la impossibilità di annullarli 
con la forza della coscienza e della morale. Ed ha scoperto che, se non sono 
liberati per vie naturali, essi possono esercitare un’azione ancora più 
perversa. L’uomo appare così a Nietzsche come un "animale malato". Orbene, 
per liberare l’uomo da questo nichilismo (nella sua storia l’Occidente ha 
progressivamente negato i valori vitali), Nietzsche propone una 
trasvalutazione di tutti i valori, una nuova tavola di valori che realizzino 
l’ideale della "grande salute". Per poterla attuare, egli ha elaborato i 
concetti di volontà di potenza, superuomo ed eterno ritorno. In Così 
parlò Zarathustra (1883-85), Nietzsche mette in bocca a Zarathustra 
la dottrina della "morte di Dio", che è l’inizio della liberazione da tutti 
gli idoli metafisici. L’uomo vivrà felice e libero quando si sarà liberato 
da tutti i legami, anche da quelli stessi di "uomo" e "umanità". "L’uomo 
deve essere superato" affinché arrivi il Superuomo o
Oltreuomo. Il superuomo sarà un essere libero, che agirà 
per realizzare se stesso. E’ un essere che ama la vita, che non si vergogna 
dei propri sensi e vuole la gioia e la felicità. E’ un essere "fedele alla 
terra", alla propria natura corporea e materiale, ai propri istinti e 
bisogni. La "fedeltà alla terra" è fedeltà alla vita e al vivere con 
pienezza, è esaltazione della salute e sanità del corpo, è altresì 
affermazione di una volontà creatrice che istituisce valori nuovi (ecco il 
vero significato della volontà di potenza). Non più "tu devi", ma "io 
voglio". Il superuomo è inoltre un essere socievole, rappresentato da 
Zarathustra che balla. Egli ha abbandonato ogni fede, ogni desiderio di 
certezza, per reggersi "sulle corde leggere di tutte le possibilità". La sua 
massima è: "Diventa ciò che sei". La libertà del superuomo 
è una ricchezza di possibilità diverse, da qui appunto la rinuncia ad ogni 
certezza assoluta e da qui anche la profondità tipica del superuomo, 
l’impossibilità di definire e giudicare la vita interiore, dalla quale non 
si attinge altro che la maschera ("Tutto ciò che è profondo, ama 
mascherarsi"). Il superuomo è il filosofo dell’avvenire; è un uomo senza 
patria né mèta per poter insegnare ad amare la ricchezza e la transitorietà 
del mondo. Con la sua "diversità di sguardo", egli cerca di rendere più 
degno il pensiero della vita, di dare al mondo un altro valore, un’altra 
verità: la verità non è qualcosa da riconoscere ma da creare. Con la libertà 
che nasce dall’abbandono delle vecchie illusioni e certezze, egli osa 
"spostare le pietre di confine" e aprire alla ricerca nuovi orizzonti.
La volontà di potenza, come abbiamo già accennato, è la volontà di creare 
sempre, incessantemente, dei valori nuovi, cioè creare il senso della terra; 
quindi tutte le cose dipendono dalla volontà, dalla mia volontà. E’ questo 
può introdurci al terzo concetto, quello dell’eterno ritorno dell’uguale. 
Nietzsche vuole polemizzare così contro lo storicismo e l’evoluzionismo e, 
d’altra parte, rifiuta la riduzione della realtà a meri eventi effimeri, 
senza valore. Per Nietzsche, tutto quanto che accade, è già accaduto, e tornerà 
ad accadere. Nulla avviene a caso; e quando avviene, avviene per sempre, non 
si dissolve, ritorna eternamente. Questa dottrina – dice Nietzsche – è una 
condanna solo per gli uomini mediocri, poiché per essi torneranno sempre 
frustrazioni e sconfitte. Ma per il superuomo, invece, l’eterno ritorno 
indica che in ogni momento si può cominciare una nuova vita. Per questo esso 
richiede un impegno assoluto: il superuomo è consapevole che ogni suo atto 
si inserisce in una realtà eterna. L’eterno ritorno è anche il sì che il 
mondo dice a se stesso, è l’autoaccettazione del mondo, la volontà cosmica 
di riaffermarsi e di essere se stesso: dall’eternità il mondo accetta se 
stesso e quindi si ripete. L’eterno ritorno è così una verità terribile. 
Bisogna però fare di più che "sopportare" un simile pensiero : bisogna 
amarlo, bisogna promettere noi stessi all’"anello degli anelli"! La formula 
per la grandezza dell’uomo è dunque l’amor fati, non volere nulla di diverso 
da quello che è, non solo sopportare quello che è necessario, ma amarlo 
appassionatamente e quindi volerlo. Questo amore libera l’uomo dalla 
schiavitù del passato, giacché per lui tutto quello che è stato si trasforma 
in "ciò che io volevo che fosse". Il presente, in quanto momento della 
decisione, ha la capacità di far ritornare il passato riassumendolo 
nell’atto della decisione. E’ quindi proprio nella decisione che il tempo si 
crea come tale, dividendosi in passato, presente e futuro.
Articolo di: 
	Diego Fusaro
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